giovedì 21 gennaio 2010

Matteo Anesi (al centro nella foto) 25enne di Baselga di Pinè (provincia di Trento), è un campione olimpico. Forse in pochi lo ricordano, soprattutto in Italia, paese in cui il pattinaggio di velocità non ha preso il volo nonostante Enrico Fabris e le tre medaglie di Torino 2006. Ma Matteo è stato componente dell'inseguimento che vinse l'oro in finale sul Canada. E da allora, quattro anni di letargo mediatico in attesa di un nuovo exploit olimpico.

Dopo l'oro di Torino com'è cambiata la tua vita? Sempre che sia cambiata..
Qualcosa è cambiato, soprattutto a livello personale. Una medaglia ti gratifica, è la conferma che tutto quello che hai fatto, sacrifici e allenamenti, ha avuto un senso. E poi mi ha dato sicurezza e mi ha aperto porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse, anche sul piano economico.

Quanto ancora ci pensi a quella magica serata?
Credo che nessuna Olimpiade potrà essere come quella di Torino. Vincere una medaglia all'ora di cena e non in Giappone alle due di mattina ci ha permesso di avere milioni di spettatori italiani incollati alla tv. Qualcosa che al nostro sport non capita mai. Un'avventura fantastica che porterò sempre nel cuore.

Perchè credi che nonostante le tre medaglie di Torino la disciplina sia stata dimenticata in fretta?
Il pattinaggio non è uno sport popolare come il calcio. Ha costi elevati, non è accessibile a chiunque. Non mi aspettavo affatto che l'interesse della gente per il nostro sport si moltiplicasse. Non è la nostra costante preoccupazione, peraltro. Quel quarto d'ora di notorietà è soddisfacente. Insomma, per me il bicchiere è mezzo pieno.

Come ti sei avvicinato al pattinaggio di velocità?
Il pattinaggio è una passione che nasce da lontano. Io amo le due ruote, motociclismo e ciclismo. Però quando è stato il momento di scegliere, ho optato per i pattini.

Da Torino fino ad ora come giudichi i tuoi risultati?
Dopo l'Olimpiade abbiamo attraversato alcune difficoltà. Il ritiro di Ippolito Sanfratello (terzo anello della pursuit d'oro, n.d.r.) ci ha disorientato, lui era una sorta di guida per la Nazionale. Piano piano la squadra è tornata ad alti livelli. Personalmente, non mi sono mai sentito così bene. Sono maturato: attraverso l'allenamento, i sacrifici, anche le delusioni. Ora vivo il mio sport al massimo. Sembra una stupidata, ma anche aver cambiato ragazza (pattinatrice olandese, n.d.r.) mi permette di allontanarmi da casa senza pensieri.

In che gare gareggerai a Vancouver? E con quali propositi?
Farò tre gare: i 1000 metri, i 1500 e la gara a squadre. I 1500 sono la mia gara. Non mi sento ancora da primi 5, diciamo che già arrivare nei 10 a Vancouver sarebbe strepitoso. I 1000 invece li faccio da poco e mi divertono parecchio. Nella gara a squadre possiamo ancora dire la nostra. Enrico? Beh, è un cavallo di razza. Può ripetere quello che ha fatto, dipende da come va la prima gara.

Oltre al pattinaggio quali sono le altre tue passioni?
Il ciclismo soprattutto. Passiamo tante ore sulla bicicletta quando ci alleniamo. Vorrei fare qualche gara, ma non ce lo permettono. Poi c'è l'Inter, di cui sono tifosissimo. Dopo Torino riuscii ad andare alla Pinetina e strinsi la mano a Mancini. Fu una grande emozione.

Ora, le emozioni, le attendiamo da lui.

Daniele Todisco

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